CSI - Comitato Provinciale di Teramo

Il terzino giallorosso ha ripercorso la sua carriera e i tanti avversari sfidati sui campi di Serie A durante i mitici anni '80.

 

Non aveva i piedi fatati del “Divino” Falcao, l'ottavo Re vantato da Roma in un'epoca tutt'altro che imperiale. Non aveva neppure lo stacco del bomber Pruzzo, capace di far sussultare ottantamila cuori con una sola testata. Eppure tra i tifosi giallorossi il suo nome e il suo nomignolo sono ricordati come un tutt'uno: “Oddi Leone”. In campo infatti non vanno solo i fenomeni, ma anche i giocatori più umani, quelli che si guadagnano la maglia da titolare attraverso il sudore e il lavoro quotidiano. Emidio Oddi è stato tutto questo, corsa e spirito di sacrificio al servizio dei compagni: “Quando i primi tempi prendevo palla, sentivo un brusio: la gente pensava che non fossi dotato della tecnica sufficiente per vestire la maglia della Roma. Poi con il passare dei mesi le mie qualità sono state apprezzate, e pian piano sono diventato un idolo”. Durante il “Natale degli Sportivi”, nel suo colloquio con Gianluca Pierannunzi, l'ex calciatore ha spaziato tra i tanti campioni incontrati in carriera. Tra questi Carletto Ancelotti (“Quando era calciatore non pensavo potesse diventare un mister così bravo. Poi un giorno, quando le nostre scarpette erano già appese al chiodo, lo incontrai a Coverciano: io stavo facendo il corso da allenatore, lui invece il Master. In quella occasione mi dissero che era il migliore, e che la sua leadership si faceva sentire. Lì mi resi conto che sarebbe diventato un big della panchina”), ma anche Maradona, Platini e Rumenigge (“Se questi campioni erano in giornata, ti dovevi fare solo il segno della croce, la domenica diventava improvvisamente un incubo”). Con uno sguardo alla Roma attuale (“I giocatori di oggi li chiamo calciattori, con due t...spesso sono molto bravi davanti alle telecamere, ma tutto fa brodo per ottenere il loro obiettivo. Noi eravamo meno fotogenici, ma molto più attaccati alla maglia e ai tifosi”). Prima di chiudere Oddi ha dedicato una breve analisi generale allo stato di salute del nostro calcio (“Oggi siamo meno competitivi degli altri paesi. Ma c'è anche meno equilibrio all'interno del campionato. Quando giocavo io, dominavamo l'Europa e in Italia, contro le piccole, soprattutto in trasferta, bisognava stare sempre con le antenne dritte: ad Avellino c'era la mitica legge del Partenio, ma anche a Como, a Catanzaro, ad Ascoli, a Cesena, non ci si poteva mai rilassare. Se non giocavi al massimo, ogni avversario aveva le qualità per farti lo sgambetto. E in un torneo a 16 squadre, non potevi sbagliare perchè non c'erano tante possibilità per rimediare a uno stop imprevisto...”). Insomma, un campione a tutto tondo, immagine di un calcio che ha fatto epoca. E che, ahinoi, ormai non esiste più.

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